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La lamina decorativa
di uno scudo (émblema) rinveuta a Olimpia chiarisce un’infinità di
problematiche e spiega l’esempio paradigmatico di una città
magnogreca. A differenza delle città principali, prime colonie su
suolo italico, il bronzo di Olimpia ci narra una storia di una
realtà figlia di se stessa, in grado di mantenere indipendenti le
proprie origini, dapprima come
centro siculo, mantenendone il nome Veiponio, e poi come centro
magnogreco in grado di detenere una forma, anche orgogliosa di
propria indipendenza, lasciandosi guidare dalla sua madrepatria,
Locri, nelle manifestazioni più elevate della vita. Attraverso uno
studio dettagliato, si è tentato di restituire tramite labili
tracce, l’intera storia di Ipponio, dalla presenza come entità
italica (sicula) fino all’intervento dei Romani nella regione. Il
quadro che ne è risultato è quello di una entità civica, formalmente
indipendente, moderatamente ricca, non ostentante e profondamente
legata alla guerra come strumento di libertà e alla spiritualità
religiosa.
Questa indipendenza, combattuta almeno per quattrocento anni,
dall’ingerenza locrese al riconoscimento romano, non avrebbe potuto
produrre altro che una città tanto degna della propria storia e
della propria coscienza da aver ottenuto da Roma l’appellativo che,
ancora oggi forse troppo incoscientemente, porta: Valentia.
Antonio Montesanti, studioso dell’Antico, nasce a Roma nel 1973.
Laureato in Storia Antica e specializzato in Archeologia Classica,
ha indirizzato i propri studi sulla Magna Grecia e sull’Etruria, da
dove proviene. Da 10 anni, segue i lavori TAV c/o il cantiere di
Casal Bertone di Roma e contemporanenamente collabora, sempre in
qualità di archeologo, nella progettazione d’impatto.
è inoltre responsabile del settore "Storia Antica" della
rivista InStoria. |