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“La
poesia di paesaggio sempre si detta da una tavolozza dei sensi:
luce-colori certo, ma anche suoni, profumi, brezze-carezze. Quando
il poeta è di vaglia, c’è da starne certi, la tavolozza emanerà da
una qualche atlantidea regione-ragione dell’io, da una qualche
liminale poesia-della-grammatica. Questo, a mio modesto avviso, il
caso di Paolo Carlucci: i cui versi esatti e distillati si
dipanano-divertono misteriosamente sintagmatici, intanto che,
inequivocabili, scintillano da un loro peculiare paradigma”.
Paolo
Carlucci è nato nel 1966 a Roma, dove insegna. Poeta e critico, in
qualità di giornalista pubblicista ha collaborato a diverse riviste
e testate – tra cui Il Tempo, redazione di Viterbo –
occupandosi di letteratura e poesia, pubblicando nel contempo
molteplici saggi e contributi dedicati ad autori classici, moderni e
contemporanei. Ha inoltre al suo attivo vari libri di poesia tra i
quali si ricordano: Dicono i tuoi pettini di luce. Canti di
Tuscia (2010); Strade di versi (2011); ll mare delle
nuvole (2014); La terra domani (2019); il volume
antologico Erasmus Generation. Elegies 2.0 and the Online Nugae
(2019, uscito bilingue) e la raccolta Google God (2022). Sul
versante della critica ha invece pubblicato il saggio Ma se la
catastrofe è imminente? Studi, note e saggi letterari 2010-2020
(2021), e altri suoi contributi critici sono apparsi in siti
specializzati, antologie e riviste letterarie, tra cui I fiori
del male, Quaderno quadrimestrale di Poesia, cultura
letteratura e arte e il periodico Kenavò, con cui
collabora tuttora. Il suo profilo è consultabile presso il portale
literary, o Sistema letterario italiano (literary.it). |