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Terre
e cementi sono termini che hanno un forte significato allusivo,
pregnante e allo stesso tempo articolato: le “terre” sono i luoghi
in cui sono catapultati i modelli della cultura architettonica e
urbanistica europea; e anche, però, i materiali poveri di questi
stessi luoghi – la terra in senso proprio, la paglia, il fango, la
pietra – da sempre utilizzati per costruirvi case ed edifici nelle
varie forme, modalità e consuetudini che le culture locali hanno
maturato nel corso del tempo; e i “cementi”, in opposizione alle
terre, sono le tecnologie e i linguaggi architettonici moderni
contrapposti a quelle povere dei luoghi che li ospitano. Un
carattere peculiare e ricorrente accomuna gli scritti di tale opera:
essi sono vere “incursioni”. Incursioni sorprendenti per i luoghi
prescelti e per i momenti temporali delle vicende indagate. Nella
maggior parte dei casi presi in esame, i “cementi”, importati dalla
colta Europa, sono subìti dalle “terre” delle regioni africane
marcate dalla colonizzazione europea. Ma sono anche, non di rado,
sovraimposti alle culture locali dai poteri politici che vi si
succedono, realizzati perché rappresentino fisicamente la
modernizzazione imposta con la consapevolezza che non vi sia miglior
veicolo per far ciò, da sempre, che esibire architetture e
monumenti. (Franco Mancuso; dalla Postfazione).
Ettore Janulardo si è formato in Italia e in Francia e, in ambito
universitario, ha insegnato anche all’estero. Sensibile
all’interpretazione di contesti, immagini, rappresentazioni e spazi
urbani, per la GBE ha pubblicato nel 2015 il saggio Kounellis.
L’immagine e l’ideologia. Presenta inoltre molteplici contributi di
ambito moderno e contemporaneo relativi all’architettura e all’arte
e partecipa a numerosi seminari e convegni. Oltre all’insegnamento
di Storia dell’arte contemporanea (Università di Bologna) svolge
incarichi a Roma nell’area della promozione culturale
internazionale. |